Lo Scherzo WoO 2 in do minore di Johannes Brahms, pagina di passionale slancio, alza il sipario su questo programma. Siamo nel 1853, l’annus mirabilis che segna la svolta nella vita del compositore, ancora ventenne. Abbandonato l’“oscuro silenzio” (Schumann) di Amburgo partendo con il violinista Eduard Reményi per una tournée di concerti che si rivelerà un vero e proprio pèlerinage di formazione, tra il 19 aprile e il 20 dicembre Brahms compirà il viaggio, costellato di audizioni, concerti e incontri, che lo consacrerà compositore, aprendogli una serie formidabile di relazioni: Joachim, Hiller, Reinecke, Litolff, Liszt, oltre che Robert e Clara Schumann. Superando la proverbiale timidezza, Brahms busserà alla porta di casa Schumann a Düsseldorf all’inizio di ottobre. Nel corso di quel mese, che lo consacrerà come “l’eletto” – il nuovo e necessario corso della musica tedesca – nel celebre articolo schumanniano Neue Bahnen (“Vie nuove”) nella Neue Zeitschrift fur Müsik, il giovane sarà coinvolto dal padrone di casa (e punto di riferimento di un’elettissima cerchia) in un hommage collettivo quanto mai singolare. “F.A.E. / In Erwartung der Ankunft des / verehrten und geliebten Freundes / Joseph Joachim / schrieben diese Sonate / Robert Schumann, Albert Dietrich / und / Johannes Brahms” riporta il frontespizio della sonata per violino e pianoforte che i tre amici offrono al violinista Joseph Joachim e al suo talento. Il progetto, coordinato da Schumann che tiene per sé il II e IV movimento (rispettivamente un Intermezzo in fa maggiore e il Finale in la minore), affida ad Albert Dietrich il I (un Allegro in la minore) e a Brahms il III (questo Scherzo in do minore, con un Trio, Più moderato, in sol maggiore). In una decina di giorni la sonata sarà ultimata e offerta a Joachim che la eseguirà il 28 ottobre, con Clara Schumann al pianoforte. Non sappiamo se il violinista seppe correttamente individuare gli autori dei singoli movimenti, che vennero offerti in forma anonima a mo’ di indovinello (anticipando di un bel po’ la provocazione parigina dei concerts sans noms d’auteurs!) e se la comune interpretazione dell’acronimo F.A.E. come Frei aber einsam (libero ma solo) sia quella originale. Di certo il “motto” fa-la-mi (F-A-E appunto) collega, più o meno esplicitamente, i quattro movimenti che, rimasti a lungo inediti, ebbero poi destini assai diversi. Confluiti nella terza Sonata per violino quelli di Schumann, rimasti autonomi quello di Dietrich, oggi di rara esecuzione, e quello di Brahms, invece tra le pagine più apprezzate fino ai nostri giorni.
Composte parallelamente, la Sonata in la maggiore di César Franck (1886) e la Sonata op. 108 in re minore di Johannes Brahms (1886-88) costituiscono due esempi fortunatissimi e riuscitissimi di sonata tardo-ottocentesca, condividendo la propensione per le proporzioni dilatate e un certo respiro “sinfonico”. Entrambe concepite in tarda età e dopo lunghe meditazioni dai rispettivi autori, entrambe siglate da due dediche eccellenti (a Eugène Ysaÿe quella di Franck, a Hans von Bülow quella brahmsiana), queste due sonate segnano un punto di arrivo nella scrittura per violino e pianoforte, imponendosi come esempi supremi di raffinatissime soluzioni formali senza che questo ne intralci in nessun modo la felicità espressiva.
Estremo frutto di tre estati di intenso lavoro (1886-1888), le ultime trascorse sulle rive del lago di Thun, la Sonata op. 108 chiude il catalogo per violino e pianoforte di Brahms, arrivato al genere tardivamente (sulla scia del successo del Concerto per violino e orchestra) e, al solito, dopo severissima autocritica: della spietata “selezione” che portò alla distruzione delle tre sonate giovanili unico superstite fu proprio lo Scherzo WoO 2. Vicina alle due precedenti (opp. 78 e 100) per la cantabilità di stampo liederistico e il perfetto equilibrio tra i due strumenti, la Sonata op. 108 costituisce allo stesso tempo un caso a sé stante per ampiezza della concezione (è l’unica ad avere quattro movimenti), il carattere decisamente più esuberante e vigoroso e una scrittura nervosa, energica, con picchi di virtuosismo, che richiama lo stile del Brahms giovane e in particolare quello del Concerto per pianoforte op. 15, non a caso anch’esso in re minore. Opera di straordinaria ricchezza tematica, è caratterizzata da una dimensione lirica che porta il compositore verso un sostanziale ripensamento delle strutture tradizionali, rilette alla luce di una libertà compositiva messa qui a servizio della melodia. Brahms si pone dunque come il fedele continuatore della grande tradizione cameristica tedesca, rivelando al tempo stesso la sua natura “progressiva”, per usare la celebre definizione che ne diede Arnold Schönberg.
La Sonata celebra inoltre la riconciliazione, dopo cinque anni di malintesi, con Hans von Bülow e, oltre che nel dedicatario, ha due saldi punti di riferimento: da una parte i coniugi Schumann, ai quali si avvicina per la profondità dell’ispirazione, dall’altra Joseph Joachim, tramite insostituibile nell’approfondimento della scrittura violinistica brahmsiana.
L’Allegro iniziale, in forma-sonata con ampie deroghe, è pagina di rara sapienza compositiva e al tempo stesso di grande tensione. Aperto da un tema “sotto voce ma espressivo” del violino su un inquieto accompagnamento pianistico con la mano destra in sincope e seguìto, dopo una transizione densa di spunti imitativi, dall’enunciazione pianistica di un disteso, bellissimo secondo tema, il movimento contiene una delle sezioni di sviluppo più stupefacenti del repertorio brahmsiano. Ribaltando ogni convenzione, l’autore sperimenta, nel luogo tradizionalmente deputato alle più ardite divagazioni armoniche, il principio dell’immobilità, concependo qui lo sviluppo (con il suo destabilizzante incipit “molto piano”) come un ampio pedale di dominante (Rostand lo definisce una sorta di “cadenza” prima della ripresa), su una pulsazione di quarti su cui si dipanano i fitti intrecci, quasi “organistici”, tra il violino e la mano destra del pianoforte. Capolavoro di coerenza formale e organicità strutturale, l’Allegro prosegue con una ripresa in cui la variante dell’accompagnamento pianistico adotta i disegni di crome presentati dal violino nello sviluppo e si conclude con una coda che richiama la sezione centrale nella sua struttura di pedale di tonica sull’ormai caratteristica scansione di quarto.
Con l’Adagio si ritorna a un equilibrio di stampo classico: una struggente melodia in re maggiore del violino, con un’idea secondaria “declamatoria” su ampi arpeggi pianistici, viene esposta due volte, la seconda all’ottava superiore e con un accompagnamento di terzine in sostituzione degli accordi pianistici iniziali. L’atmosfera di questo movimento (Rostand lo definisce “una delle più incantevoli rêveries composte da Brahms”) è tuttavia fuggevole: la “fantasticheria” del terzo movimento (Un poco presto e con sentimento, in fa diesis minore, sorta di intermezzo capriccioso, con il carattere, ma senza la struttura, dello scherzo) e l’impeto ardente del quarto (Presto agitato, in 6/8, in una forma ibrida di rondò-sonata di generosa ricchezza tematica nel suo incedere trionfale da ballata nordica) completano, con le loro definitissime e contrastanti fisionomie, l’edificio di questa stupefacente costruzione.
Composta insieme a Preludio, aria e finale, nello stesso anno in cui Franck inizia a lavorare alla Sinfonia in re minore, la Sonata in la maggiore si colloca all’interno di quella straordinaria fioritura francese della letteratura per violino e pianoforte cui appartengono i lavori (in molti casi capolavori) di Fauré, Lalo, Saint-Saëns, Debussy, Ravel. Frutto di una lunga progettazione (alla volontà di scrivere una sonata per violino e pianoforte, da dedicare a Cosima Liszt, Franck aveva accennato proprio a Hans von Bülow già nel 1859), la Sonata nasce dopo le ottime prove di Saint-Saëns e Fauré e da queste si distacca per uno stile fortemente debitore alla tradizione germanica, specie ai modelli beethoveniani e schumanniani, con spunti classicheggianti, che però tradisce elementi di fortissima originalità. Primi tra tutti un lirismo tutto “latino” della melodia, fascinosa, caldissima, capace di aperture e slanci di efficacissima presa e l’adozione della struttura ciclica che tanto pare aver affascinato Marcel Proust, che forse proprio questa Sonata utilizzò come modello di una composizione di Vinteuil, l’immaginario musicista della Recherche. Articolata in quattro movimenti, la Sonata, perfetto esempio di equilibrio sonoro tra i due strumenti, si apre con un Allegretto ben moderato in 9/8 caratterizzato dal cullante tema del violino e da una seconda idea, lirica, interamente affidata al pianoforte e destinata a contrappuntarsi e fondersi con il primo tema. L’Allegro che segue (in re minore/maggiore, in una forma-sonata liberamente interpretata) è pagina di rara forza e intensità. Il travolgente inizio è affidato al pianoforte, che presenta l’incisivo tema acefalo, poi ripreso dal violino. Classicheggiante è invece l’ispirazione del Recitativo-fantasia, in una struttura modulante che alterna rapsodiche cadenze del violino alla rielaborazione di spunti ciclici (anche il nuovo tema che appare su un accompagnamento di terzine al pianoforte verrà poi riascoltato nell’ultimo movimento) e che conclude, inaspettatamente, nella tetra tonalità di fa diesis minore. Vero contraltare alla tragica malinconia del terzo movimento, l’Allegretto poco mosso, in la maggiore, chiude luminosamente l’intera composizione, sfruttando efficacemente la maestria contrappuntistica di Franck (notevoli le imitazioni canoniche tra i due strumenti) in una “tradizionale” forma-sonata.
A cura di Silvia Paparelli
(Nella foto un giovane Johannes Brahms)